VIA GIOVANNI BUITONI

QUARTIERI DI SAN NICOLO’ E DI SANT’ANTONIO

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Quartieri di San Nicolò e di Sant'Antonio

Ridenominazione: da via del Rio a via Giovanni Buitoni

Via Giovanni Buitoni venne intitolata così nel 1935 quando il podestà, Italiano Giorni, nominato da pochi mesi, decise il cambiamento di denominazione della Via del Rio dedicando la strada a colui che fece diventare l’azienda “la più importante d’Italia e del mondo”, come fu scritto nella delibera. Infatti in cima alla strada si trovava l’ingresso del pastificio della famiglia Buitoni sviluppatosi tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nei pressi di un antico mulino idraulico di origine medievale. Quest’ultimo, che nei registri catastali ottocenteschi è detto mulino di S. Leo alla Caduta, dal 1879 diverrà di proprietà dei Buitoni che già, da almeno una decina d’anni, lo avevano in affitto.

Sembra che via del Rio si chiamasse così per un piccolo rigagnolo che scendeva dalle colline, tanto che nel XII secolo questi luoghi posti lungo la strada erano detti il Fossatone. Forse successivamente questo fosso venne alimentato anche dalle acque dello sfioratore del bottaccio del mulino di San Leo alla Caduta o forse era proprio l’eccesso di acqua del mulino e della reglia che generava un rivolo che proseguiva lungo l’asse dell’attuale via Buitoni.

Nel 1935 il cambio di denominazione avvenne per rendere omaggio alla famiglia Buitoni come imprenditori e come fascisti. La continua ascesa sociale dei Buitoni nella seconda metà dell’Ottocento aveva portato un rappresentante della famiglia a partecipare fin dal 1879 quasi continuativamente ai lavori del consiglio comunale di Sansepolcro e l’ingerenza dei Buitoni peserà nell’amministrazione di Sansepolcro per tutta la metà del Novecento. Con l’avvento del fascismo, la Buitoni rappresentò il punto di riferimento per il Fascio di Sansepolcro che, sorto nel maggio 1921, ebbe tra i suoi sei fondatori, quattro collaboratori dell’azienda. Inizialmente la sede del Fascio era all’interno del pastificio e il leader socialista Luigi Bosi coniò l’espressione: Fascismo è Buitonismo. 

Quando il podestà di Sansepolcro deliberò di intestare la strada a Giovanni Buitoni (1822-1901), era presidente del pastificio un altro Giovanni Buitoni (1891-1979), suo nipote. Giovanni jr. si stava guadagnando una posizione di rilievo nell’establishment della politica italiana, aveva l’ambizione di far parte del governo di Mussolini ed era esponente fascista di primo piano a Perugia, dove era stato podestà dal 1930 al 1934 e dove dirigeva la Perugina, società fondata da suo padre Francesco (1859-1938). 

La scelta di intitolare la strada al nonno Giovanni non derivò soltanto dal tributare il riconoscimento a colui che per primo era stato l’artefice del successo del pastificio Buitoni e che a metà degli anni Trenta era diventata l’industria alimentare con il maggior numero di addetti di tutta la Toscana, circa un migliaio di persone che provenivano da tutti i paesi della valle, con un indotto di un certo rilievo soprattutto nei settori dei trasporti e degli imballaggi in legno, con dodici linee di produzione per sessantotto tipi di prodotto, di cui ventisette destinati all’infanzia. Quindi la scelta di intitolare Via del Rio al patriarca dei Buitoni significava omaggiare tutta la famiglia Buitoni padrona ed egemone di Borso Sansepolcro.

Stabilimento Buitoni d'inizio secolo

Fig. 1 – Stabilimento Buitoni d’inizio secolo, Sansepolcro.

         Fig. 2 – Busto di Giovanni Buitoni                                Fig. 3 – Etichetta della Pastina glutinata

 

CHI ERA GIOVANNI BUITONI

Giovanni Buitoni sr. nacque a Sansepolcro il 18 ottobre 1822, primogenito di Giovanni Battista (1769-1841), barbiere, e Giulia Boninsegni (1791-1877), tessitrice. I suoi genitori avevano preso in affitto nel 1828 il piccolo pastificio di Antonio Betti, un fiorentino che aveva questo laboratorio nella piazza del paese, un opificio con attrezzature rudimentali come ce n’erano tanti in Italia in quel periodo. 

Nel 1829, a soli sette anni, Giovanni fu mandato a Firenze da Antonio Betti a imparare il mestiere di pastaio. Vi restò fino al 1837 e quando nel 1841 il padre morì prese in mano l’azienda insieme alla madre e ai quattro fratelli, coadiuvato dal pastaio genovese Giovanni Parma. 

Tutti concordano nel riconoscere in Giovanni Buitoni sr. l’artefice dello sviluppo del pastificio: la sua capacità di pianificazione aumentò le occasioni a disposizione dell’impresa e la predispose affinché potesse adeguarsi ai cambiamenti, soprattutto tecnologici, che la fine del secolo stava portando. Dall’originaria bottega di piazza (che restò a lungo un negozio commerciale, dove fra l’altro i Buitoni prestavano denaro ai propri concittadini e che per questo rappresentò un’importante fonte di arricchimento negli ultimi decenni dell’Ottocento), la produzione prima di trasferì in via Firenzuola, nei fondi della casa di abitazione (palazzo Muglioni), e poi nel 1893 fuori della Porta del Castello, dove nel 1882 era stato impiantato un moderno mulino a cilindri a fianco dell’antico mulino idraulico. In questi anni gli investimenti erano tutti concentrati sullo stabilimento e sulla sua produttività; le altre attività, come l’officina meccanica di Porta Romana e la centrale idroelettrica di Montedoglio, erano prima di tutto finalizzate all’attività del pastificio, anche se l’energia elettrica dal 1906 verrà venduta anche ai privati e illuminerà le strade di Sansepolcro. Giovanni Buitoni sr. intuì che per affermarsi era necessario lavorare sulle part dietetiche e così la Buitoni perfezionò la pastina glutinata, già prodotta in Francia. Venne lanciata sul mercato nel 1884 e fu oggetto di brevetto nel 1889. Un brand che si affermò con successo sul mercato fino ai primi anni del secondo dopoguerra. 

Quando negli anni ottanta dell’Ottocento arrivarono in Italia i grani russi e americani, l’abbondanza di materia prima permise lo sviluppo di quest’azienda già ben avviata e che già produceva la pasta con il grano duro. D’altra parte non essendoci metodi di essiccazione perfezionati, la pasta doveva essere smaltita velocemente e per questo i Buitoni andarono ad aprire punti di produzione e di vendita a Città di Castello, a Perugia, a Firenze, a Livorno (quest’ultime due furono esperienze negative) e poi nel 1924 a Roma. 

A cavallo fra i due secoli, i prodotti Buitoni erano diffusi nell’Italia centrale, ma si trovavano anche a Torino e perfino nelle Americhe. In questo processo di espansione i Buitoni erano arrivati a Perugia nel 1878, dove era stato inviato Francesco, il quartogenito di Giovanni sr., a dirigere un piccolo pastificio. Qui nel 1907 costituì insieme ad altri la “Società perugina per la fabbricazione dei confetti” che divenne poi la famosa Perugina a partire da quando, nel 1909, entrò in azienda Giovanni Buitoni jr., terzogenito di Francesco che negli anni successivi sviluppò il piccolo laboratorio artigiano, in collaborazione con Luisa, moglie di Annibale Spagnoli, uno dei soci fondatori. Insieme alla pastina glutinata la Buitoni sviluppò molte altre varietà di paste speciali e l’ampio assortimento dei prodotti dietetici impose la stampa di un catalogo e di un listino prezzi. Nello stesso tempo il successo dei prodotti specialistici dietetici sviluppò il packaging e la pubblicità. Da semplici annunci si passò a curare l’impostazione grafica e si arrivò a pubblicare certificati e attestati rilasciati dalle più importanti autorità mediche e a impiegare personaggi famosi, precorrendo i tempi di cinquant’anni, come i membri della famiglia reale quali testimonial della pastina glutinata, essendo la Buitoni divenuta fornitrice ufficiale della casa reale nel 1907. 

Giovanni Buitoni sr. innescò un “processo circolare” con le paste speciali che erano un volano pubblicitario incredibile e che permettevano da un lato di aumentare quote di mercato alle paste comuni e dall’altro di qualificare di più l’azienda nelle paste dietetiche. I piani di Giovanni Buitoni sr. presero in considerazione anche gli interessi dei singoli membri della famiglia, senza però far entrare troppi familiari nella gestione e nella proprietà dell’azienda. Quindi pianificazione, dinamismo e ‘potatura dell’albero genealogico’ condussero la Buitoni a essere uno dei marchi alimentari più affermati tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo. Giovanni sr. fissò il principio, comune alle “famiglie non nobili – o almeno non vincolate rigidamente al maggiorascato – toscane tradizionali, borghesi ma anche popolari e contadine, per cui ereditare non è succedere“, precisa lo storico Francesco Chiapparino. La nuova generazione, pur partecipando agli utili, potè assumere incarichi gestionali direzionali soltanto quando seppe dar prova delle proprie capacità a giudizio del genitore e degli zii; un meccanismo che semplificò le linee successorie, dalle quali comunque erano escluse le donne, e che ebbe il merito di valorizzare i soggetti più capaci, ma che in futuro invece frenerà, in particolare momenti, investimenti che poi arriveranno in ritardo. 

Giovanni Buitoni sr. morì a Sansepolcro il 16 ottobre 1901. La città, oltre a dedicargli il nome di una strada, gli fece erigere un busto realizzato dal professore Filippo Lombezzi, inaugurato dal ministro delle corporazioni, Ferruccio Lantini, in visita a Sansepolcro il 7 novembre 1936; il busto oggi si trova all’ingresso del Centro Commerciale Valtiberino che fu inaugurato nel 1994 nell’area dello stabilimento Buitoni demolito due anni prima. 

 

LUNGO LA STRADA

Barriera Porta Libera

Fig. 4 – Barriera Porta Libera

Via Giovanni Buitoni attraversa longitudinalmente il centro storico di Sansepolcro nei quartieri di San Nicolò e Sant’Antonio, iniziando e terminando appena oltrepassate le mura della città.  La strada scende da Porta Libera, che nel Trecento era chiamata Porta della Cortina o Porta Catana o Cattanea o dei Catanei, dal nome di una delle prime famiglie di Borgo Sansepolcro, i Catani, che probabilmente lì nei pressi aveva le proprie abitazioni. Da Porta Catana si disse che entrò “il celebre Capitano di Sansepolcro Carlo Graziani” a liberare la città “dall’occupazione degli emissari di Uguccione della Faggiola”, come scrisse lo storico locale Lorenzo Coleschi. Così alcuni sostennero che da allora si chiamò Porta Libera, mentre altri ritengono che ciò sia un errore perché il Graziani entrò dalla Porta del Castello, poco distante, e che questa fu perciò chiamata Porta Libera. Con la costruzione delle mura medicee l’accesso di Porta Catana venne chiuso per ragioni difensive, quando venne riaperto, nel 1905, il passaggio fu denominato Porta Libera prendendo per buona la prima tesi. La nuova apertura fu decisa dal Consiglio comunale per dare lavoro ai tanti operai del pastificio Buitoni che a gennaio era stato colpito da un devastante incendio e aveva lasciato senza occupazione oltre duecento lavoratori. Nel 1938 l’amministrazione comunale fascista ribattezzò quest’apertura Porta Littoria, ma dal 1943 riprese il nome di Porta Libera. 

Percorrendo la strada in discesa, a destra, si cammina lungo il lato del giardino dedicato a Piero della Francesca, realizzato in occasione del quarto centenario della morte del sommo artista (1892) nell’area dell’orto del convento di San Francesco espropriato alla Chiesa dopo l’Unità d’Italia, in cui fu collocato il monumento realizzato dallo scultore fiorentino Arnaldo Zocchi (1862-1940) e dall’architetto aretino Dante Viviani (1861-1917). Invece, sulla sinistra troviamo un cancello che chiude l’accesso a quella che in passato era la strada detta Le Cerchie, una via interna lungo le mura voluta per ragioni difensive dai Malatesti di Rimini, signori del Borgo dal 1371 al 1432, e realizzata abbattendo le abitazioni a ridosso delle mura urbiche. La strada oggi è senza sfondo e termina in quello che fu il giardino dell’ex ospedale di Santa Maria della Misericordia. 

A lato del cancello verso via Niccolò Aggiunti sorgono “due palazzetti cinque-seicenteschi, rimaneggiati in seguito”, come annotò lo studioso Angelo Tafi, e poi si apre via della Misericordia. Attraversata via Niccolò Aggiunti la strada prosegue passando fra due palazzi: Palazzo Bourbon del Monte con la Torre del Catolino sulla destra e Palazzo Collacchioni sulla sinistra. Il primo è oggi la sede di Aboca Museum. Aboca è un’importante azienda agricola di Sansepolcro che coltiva piante officinali per la produzione di integratori alimentari e dispositivi medici. Visitando il museo delle erbe di Aboca si può ammirare anche l’interno del palazzo ricostruito tra il XVI e il XVII secolo sul preesistente palazzo medievale dei marchesi Bourbon del Monte di Santa Maria, una delle casate più importanti della Toscana. 

Il Palazzo Collacchioni raggruppò unità abitative medievali e conservava l’affresco dell’Ercole di Piero della Francesca, che fu venduto nel 1903 e che oggi si trova a Boston. Appartenuto ai Pichi, una delle famiglie più antiche di Sansepolcro e per secoli la più potente delle città, fu ricostruito nel Seicento. Lungo via Giovanni Buitoni si affacciano le finestre del primo piano e si apre l’ingresso laterale al locale Massoneria. Prende il nome della famiglia Collacchioni che ebbe fra i suoi membri più importanti Anton Giuseppe (1770-1859), notaio, per sei anni Gonfaloniere di Sansepolcro, socio dell’Accademia dei Georgofili di Firenze e dell’Accademia di Scienze Lettere e Arti della Valle Tiberina Toscana; possidente terriero in Valtiberina e in Maremma e allevatore: fu il primo a introdurre in Toscana la pecora merino e selezionò la razza bovina della Valtiberina. Il figlio Giovan Battista (1814-1895) fu senatore del Regno d’Italia e presidente della Banca Popolare di Sansepolcro, inaugurata nel dicembre 1888, a cui successe dopo la morte il nipote Marco. 

Lungo la strada, prima di arrivare al corso XX Settembre, si fiancheggia sulla destra il retro del complesso che fino al 1773, quando venne soppressa la Compagnia di Gesù, era occupato dai Gesuiti con la chiesa dedicata a San Francesco Saverio, “uno degli esempi più interessanti di architettura gesuitica conservati in Toscana”, commenta la storica dell’arte Francesca Chieli. Dal 1773 nei locali del convento vi fu trasferito il seminario vescovile (da via del Seminario Vecchio, oggi via Dante Chiasserini) e vi furono organizzate sei scuole: leggere e scrivere, abbaco, primi elementi di grammatica, di umanità, di retorica e filosofia con la geometria e di morale con la dogmatica. Nel 1966 la curia vescovile decise di trasferire i seminaristi in una villa di proprietà del vescovo (oggi casa per anziani, Villa Serena) e venne concordato con l’amministrazione pubblica di utilizzare i locali per le scuole. Da via Giovanni Buitoni si accede al cortile. Attualmente è la sede della sezione Tecnico Commerciale del Liceo Città di Piero, mentre la ex chiesa è adibita a cinematografo. Attraversato il corso XX Settembre si passa sotto un arco di collegamento fra i due palazzi Graziani; quello a destra poi è stato chiamato palazzo Graziani-Mercati. La famiglia Graziani, di origini perugine, nel Medioevo divenne molto ricca e potente tanto da offrire nel 1198 il terreno per la costruzione della Torre di Berta nella piazza centrale e fu protagonista per secoli nella storia di Sansepolcro; nel 1520 Galeotto Graziani su il primo vescovo di Sansepolcro. Il loro palazzo, il “Canto Graziani”, era molto grande ed era composto da numerosi fabbricati da via del Borgo Nuovo (oggi via Piero della Francesca) fino a via del Buon Umore. Acerrimi e irriducibili secolari avversari dei Pichi, terminarono le loro lotte con un matrimonio tra Elisa Graziani e Giuseppe Pichi. 

All’angolo con Via Sant’Antonio, sulla sinistra, si trovano dei locali oggi adibiti alla promozione dell’autonomia dei giovani nell’ambito del progetto GiovaniSì della Regione Toscana. Qui nel 1964 venne trasferito, da piazza Garibaldi, l’ufficio postale che vi restò fino alla nuova ubicazione presso il Centro Commerciale Valtiberino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso. Sempre sulla sinistra più avanti, si giunge all’ex chiesa di San Giovanni Battista (o d’Afra), una fra le più antiche di Sansepolcro, “già esistente nel 1126”. Eccettuata la Pieve di Santa Maria (oggi Sant’Agostino), nel XV secolo era l’unica in cui officiava il clero secolare ed era sotto il controllo della famiglia Graziani. La presenza di questa chiesa fin dal Medioevo dava il nome a tutta la strada. 

Accolse dalla metà del Quattrocento fino al 1810 la tavola del Battesimo del Cristo dipinta da Piero della Francesca. Il capolavoro oggi si trova alla National Gallery di Londra, venduto dalla Curia vescovile nel 1859. Dopo l’Unità d’Italia, la chiesa venne utilizzata come magazzino comunale e poi deposito per il tabacco; dal 2003 ospita il Museo della vetrata antica, allestito intorno alla donazione di un ricco emigrante, Luigi Fatti, che offrì alla sua città la riproduzione su vetro dell’Ultima cena di Leonardo realizzata dalla ditta Moretti Caselli di Perugia tra la fine degli anni Trenta e gli inizi degli anni Quaranta del Novecento. 

Piero della Francesca

Fig. 5 – Piero della Francesca, Il Battesimo di Cristo, 1440-50′, National Gallery, Londra. 

Ultima cena

Fig. 6 – Moretti-Caselli, “Ultima cena” di Leonardo, vetrata, 1942.

Nella canonica della chiesa di San Giovanni Battista, riacquistata dal clero, nel 1943 venne trasferita, da via Santa Caterina, la casa delle “Suore dette Figlie della Misericordia, o meglio Spagnole” o anche dette Celestine, addette all’assistenza dei malati a domicilio e alle quali nel 1937 fu affidato l’ambulatorio della Cassa Mutua Italiana. Erano arrivate a Sansepolcro nel 1928 invitate dal vescovo Pompeo Ghezzi (1869-1957). 

Più avanti via Giovanni Buitoni si allarga su una piazzetta dove si impone alla vista la chiesa di Santa Maria Maddalena. Nel 1529 quando il Convento dell’Osservanza, detto di S. Maria della Neve, fuori le mura di Porta del Castello, venne demolito, per ragioni difensive della città, la Compagnia di Santa Maria Maddalena, che qui possedeva un oratorio, concesse locali e terreno ai frati Minori Osservanti. In seguito divenne sede delle investiture dell’ordine di Santo Stefano. Nel 1866 la chiesa e il convento vennero espropriati e progressivamente tra il 1869 e gli inizi del 1900 vennero ceduti alla locale Agenzia della coltivazione Tabacchi. Il tabacco era arrivato in Valtiberina già intorno al 1574, con il vescovo di Sansepolcro, Niccolò Tornabuoni, che lo fece coltivare nel suo giardino. Così l’alta valle del Tevere fu fra le prime terre italiane sulle quali venne piantata quella che all’inizio era chiamata “erba Tornabuona”, ma la sua diffusione fu lenta: ancora per tutto l’Ottocento la coltivazione di questa pianta industriale era assente quasi ovunque e la sua coltura avveniva a titolo sperimentale, se si esclude il territorio dello stato libero di Cospaia perché esente da dazi dal 1441 al 1826.  La concessione a coltivare la “pianta del fumo” nei campi di Sansepolcro fu ottenuta nel 1867 e subito si evidenziò l’importanza per lo sviluppo dell’agricoltura che poteva così uscire da un asfittico mercato locale. Quando due anni dopo venne aperto il magazzino dei tabacchi, seppure stagionalmente, rappresentò un’importante fonte di reddito per quasi tutto il Novecento. 

Fig. 7 e 8 – Vedute del magazzino dei tabacchi e operaie al lavoro.

Nel 1911 qui, in fondo all’allora via del Rio, lavoravano a 144 addetti, mentre in cima alla strada, di fronte a Porta Libera, erano 258 gli uomini e le donne occupati presso lo stabilimento Buitoni: oltre la metà (58 per centro) della popolazione attiva di Sansepolcro impiegata nel settore secondario lavorava in questi due opifici. Il lavoro degli operai di Sansepolcro nel secolo scorso può essere sintetizzato dall’immagine usata dai socialisti locali nel 1905 nel loro settimanale: “Mani nere ed amare delle operarie sceglitrici del tabacco” e “mani bianche e infarinate del pastificio Buitoni”. Gli spazi della chiesa e del convento degli Osservanti occupati dal magazzino dei tabacchi, subirono la vendita degli arredi, distruzioni e modifiche strutturali. Oltre il portale cinquecentesco, si salvò il “pregiato soffitto ligneo, iniziato nel 1649, forse dai fratelli Binoni”, ipotizza Francesca Chieli, abili e valenti intagliatori ed ebanisti di Sansepolcro, grazie al fatto che la Giunta municipale nel 1901 ne rifiutò la vendita. Via Giovanni Buitoni, già via del Rio, termina a valle poco dopo superata Porta Tunisi, aperta a servizio del magazzino dei tabacchi sfondando le antiche mura, verso la fine del 1938, per “coinvolgere i numerosi veicoli trasportanti il tabacco all’esterno del centro urbano”, spiegò la delibera podestarile. 

CLAUDIO CHERUBINI.

Università dell'Età Libera - Sansepolcro
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